Sono anni che Giorgio Lotti ne parla, sempre in bilico tra l'orgoglio del rifiuto espresso e l'ammirazione, in fondo, per il sogno ciclopico che la richiesta in sè conteneva. Quella che anni fa l'entourage di Bill Gates gli comunicò in modo chiaro e netto: "il tuo archivio o buona parte di esso per un offerta economica difficilmente, difficilmente, irrinunciabile".

La stessa che venne fatta peraltro ad altri suoi compagni di una lunga strada: Mario De Biase, Ferdinando Scianna, Mauro Galligani, Gianno Berengo Gardin e tanti altri che, come Lotti, dagli anni Cinquanta in su, hanno raccontano l'Italia e il mondo con rispetto, attenzione, perizia, fortuna, inoppugnabile bravura.

Nessuno di loro fino ad ora ha ceduto: esemplare le motivazioni: "Abbiamo raccontato la storia di Italia attraverso le nostre pellicole. Chi vorrà in futuro dire cos'era il nostro paese con le nostre immagini dovrà comprarle a Bill Gates e agli americani". Inappuntabile, benché il sogno dell'Agenzia Corbis, una fantascientifica città sotterranea nelle viscere delle montagne della Pennsylvania dove sono conservati milioni di scatti abbia in sé qualcosa di assolutamente affascinante.

Ci hanno provato anche i francesi, ad offrire al "professor" Lotti, una scrivania, un computer, un vitalizio, in cambio di quell'archivio di più un milione e mezzo di frammenti di vita che il Nostro ha scattato macinando chilometri e incontrando migliaia di persone lavorando per Epoca, Paris Match, Panorama, per se stesso e per gli innumerevoli suoi volumi.

Ma al momento l'enorme patrimonio è ancora qui, a casa sua, a Varese. In attesa, confidiamo ancora noi, e anche lui, che se non Varese, sua città di adozione – ma storicamente sorda alla fotografia -, almeno l'Italia si muova nel concreto perchè non si disperdano in maniera improduttiva questi straordinari atlanti della memoria. E ai loro autori venga riconosciuto il rispetto e la riconoscenza che meritano.

"Ho da tempo un sogno – va ripetendo inascoltato il grande fotoreporter – che anche in questo territorio, morta la sua vocazione industriale, si rigeneri nella cultura, gettando le basi con Fondazioni serie, dalla moda, all'arte, alla fotografia. Con un progetto concreto, che dia lavoro ai giovani, che sia redditizio, che faccia anche business, certo". 

Questo in sostanza, il succo della chiacchierata allestita al Caffè Zamberletti di Varese, officiata da Mauro Della Porta Raffo. Giorgio Lotti armato di carrousel e diapositive ha ripercorso la sua storia, ha inveito contro il sistematico smantellamento della dignità professionale del fotografo nella editoria attuale, suo antico cavallo di battaglia.

Ha sciorinato ricordi ed emozioni e tante, tante splendide immagini: la dolcezza di Mastroianni, il riso di Montale che si tramuta in pianto alla notizia del Nobel appena ricevuto, l'Ungaretti davanti allo sbarco dell'uomo sulla Luna, le sue timidezze a fronte di una popolarità ormai smisurata in Cina, per essere l'autore dell'ormai "mitologico" ritratto di Zhou En Lai. E ancora, il primo sbarco di albanesi, la diossina, i terremotati; la distanza, le remore, il pudore, la necessità, il dovere quasi del teleobiettivo. Un racconto, quasi in versi, di un gentiluomo della fotografia.