Milano – Era il 1973 e alla Permanente di Milano una gran folla andò a vedere un’esaltante mostra tutta dedicata al Divisionismo italiano. L’aveva curata Anna Maria Brizio, la severa insegnante di storia dell’arte alla Statale con il concorso dei “giovani” del suo Istituto impegnati ad approfondire i protagonisti e i comprimari di questo rilevante movimento tutto italiano, fatto salvo l’approccio con il pointillisme di Francia. A stendere le schede delle opere di Giuseppe Pellizza la Brizio aveva incaricato Aurora Scotti, ora l’autorevole presentatrice della rassegna in corso (fino al 25 gennaio 2026) alla GAM di via Palestro dove si possono ammirare dell’artista una quarantina di lavori, tra i più belli ed emozionanti. Oltre al Quarto Stato, tornato dopo lungo vagabondare nella sede che l’aveva accolto quando venne acquistato, nel 1920, per pubblica sottoscrizione. Proprio di questa iniziativa, segno della accorta perspicacia dei milanesi di allora, scrive in catalogo Sergio Rebora ragguagliandoci su chi contribuì più o meno generosamente: da alcune banche agli industriali, ai collezionisti e agli artisti, tutti decisi a che il Quarto Stato allora esposto con altre 120 opere in una mostra individuale alla Galleria di Lino Pesaro restasse a Milano.

Altri saggi preziosi per la ricostruzione della personalità di Pellizza corredano il catalogo (Dario Cimorelli editore), di fatto una monografia, e aggiornano il calendario degli studi sul pittore di Volpedo, davvero numerosissimi se solo si dà un’occhiata agli interminabili riferimenti bibliografici in calce alle schede delle opere esposte.

Ad apertura il saggio della Scotti è una lectio magistralis illustrando passo passo tutta la vicenda artistica di Giuseppe Pellizza, uomo dalla vita apparentemente semplice. ma sempre con un’apertura e un interesse partecipi a quello che avveniva in Italia e che si faceva nel mondo dell’arte. Ne son prova già i lavori giovanili con sguardi attenti ma indipendenti agli artisti frequentati tra Milano, Roma, Firenze (per pochi mesi fu allievo anche di Fattori) e Bergamo dove fu accolto nella scuola di Cesare Tallone e continuò ad esercitarsi sul disegno e sull’espressività nei ritratti.

Poi cominciò l’avventura del divisionismo che per dare struttura all’immagine scansando ogni bozzettismo trovò un riferimento primario nella fotografia. Anche il simbolismo continuò ad essere elaborato entro questo rapporto risolto poi con tecnica minuta e picchiettata. Esemplare in tal senso è Lo specchio della vita (Torino, GAM), una vasta tela dipinta tra il 1895 e il 1898 dove anche si avvertono le distanze dal simbolismo di Segantini, del resto artista stimato da Pellizza tanto da pagare di tasca sua la targa eretta in memoria a Savognino. E lo stesso vale per il Quarto Stato di cui tanto si è detto e scritto.

Se non sono gli uomini e le donne di Volpedo con la loro vita quotidiana e semplice ad essere protagonisti delle tele dell’artista è la natura ad essere esaltata nella sua luminosa e vibrante bellezza e nel suo arcano significato. Una natura di qualità lirica straordinaria, colta nella sua profondità e vastità e nella sua monumentalità ben resa, con costruttivo nitore, nel Ponte della Pinacoteca del Divisionismo di Tortona.

Nelle sale della GAM abbaglia e commuove Il sole nascente (1904) prestato dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma e davanti ad esso appaiono proprio giuste le parole di Primo Levi per il quale “bisogna volgersi a Pellizza per sentirsi illuminati da un sole che sembri davvero quello dell’avvenire”. Non soltanto il sole del socialismo verso il quale l’artista non nascose le sue simpatie, ma il sole eterno che dà vita, respiro e luce all’umanità.

Giuseppe Pacciarotti