{"id":34031,"date":"2016-11-19T03:46:58","date_gmt":"2016-11-19T03:46:58","guid":{"rendered":""},"modified":"2016-11-24T14:08:27","modified_gmt":"2016-11-24T14:08:27","slug":"giuseppe-bossi-e-la-sua-copia-del-cenacolo","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/giuseppe-bossi-e-la-sua-copia-del-cenacolo\/","title":{"rendered":"Giuseppe Bossi e la sua copia del Cenacolo"},"content":{"rendered":"
<\/p>\n
\"DelDel Cenacolo di Leonardo da Vinci, il libro di Giuseppe Bossi
sulle sue ricerche per la realizzazione
della copia dell'Ultima Cena<\/span><\/div>\n

Giuseppe Bossi<\/strong> era nato a Busto Arsizio nel 1777, pittore e scrittore, fu segretario dell'Accademia di Brera di Milano dal 1802. Preoccupato del lento e inesorabile degrado del capolavoro di Leonardo da Vinci, l'"Ultima Cena<\/strong>"- definito per questo motivo "l'eterno malato, il moribondo, il fantasma" – studiò un progetto per realizzarne una copia su tela in scala 1:1<\/strong>, dalla quale il grande Giacomo Raffaelli avrebbe potuto ricavare un mosaico delle stesse misure, in grado di "eternare" così l'opera leonardesca.<\/div>\n

Giacomo Raffaelli<\/strong> era noto per la sua abilità in questo genere di operazioni, a quell'epoca assai frequenti. Egli utilizzava il cosiddetto sistema di micromosaico<\/strong>, che si avvaleva di tessere con colori a smalto di piccolissime dimensioni (anche pochi millimetri), giustapposte sul disegno di base e in grado di garantire un'ottima aderenza all'originale, rispettando gli effetti coloristici e chiaroscurali voluti dal pittore. <\/div>\n
La fragilità dell'opera di Leonardo<\/strong>, d'altra parte, era nota fin dagli inizi. Siccome il Vinci non prediligeva l'affresco, aveva realizzato (1495-1498) l'"Ultima Cena" sul muro del Refettorio della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, servendosi di tempera su intonaco, un metodo di pittura purtroppo destinato a un progressivo e fatale deterioramento. Gli interventi di restauro che si susseguirono nel tempo furono moltissimi, in molti casi purtroppo decisamente peggiorativi. <\/div>\n
Solo l'ultimo restauro, il più recente, quello eseguito sotto la guida di Pinin Brambilla, durato oltre venti anni, e concluso nel 1999, ha restituito all'opera luminosità e freschezza coloristica. E, oggi, grazie ai sofisticati sistemi di conservazione, possiamo dire che il capolavoro di Leonardo è salvo.<\/div>\n
L'appoggio del Viceré<\/strong>. Ma torniamo a Giuseppe Bossi. La sua idea non venne subito accolta favorevolmente perché considerata troppo costosa. In seguito, però, Eugenio di Beauharnais, Viceré del regno d'Italia, persona di grandi vedute, sensibile alle arti e alle scienze, cambiò idea e incaricò Bossi, che nel frattempo aveva lasciato il suo incarico di segretario all'Accademia di Brera, di portare avanti il progetto. <\/div>\n
Si stabilì anche il compenso: 24000 lire italiane per due anni di lavoro per la realizzazione della tela e 33000 piastre romane in 6 anni per il mosaico. Naturalmente tempi e costi furono largamente disattesi.<\/div>\n
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\"GiuseppeGiuseppe Bossi, Cartone preparatorio per la copia dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci<\/span><\/div>\n

La difficile ricostruzione del Cenacolo originale<\/strong>. Il problema fondamentale per Bossi era quello di ricostruire il Cenacolo originario, depurandolo dai vari interventi di restauro che l'avevano reso illeggibile. Il suo fu un lavoro certosino, quasi da filologo, che lo costrinse a ricerche in mezza Europa. Di questo suo impegno ci rimane un volume, davvero prezioso, pubblicato nel 1811, nel quale dettaglia l'avanzamento dei lavori, insieme a osservazioni teoriche ma anche appunti di vario genere.<\/div>\n

Bossi lavorava "con furore", come sosteneva lui stesso, a questo progetto, trascorrendo molte ore nel refettorio della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, luogo malsano, umido, decisamente deleterio per la sua salute che sicuramente ne risentì. Da questo impegno, nacque il cartone dell'opera, oggi conservato a San Pietroburgo. <\/div>\n
Questa prima fase del lavoro fu molto apprezzata<\/strong>, soprattutto per la capacità grafica dimostrata da Bossi, ma ad essa doveva seguire la parte più delicata, quella del colore. Bossi vi lavorò per due anni e mezzo con non poca fatica, tanto che, scrivendo al suo amico Canova, confessò che si "sentiva prosciugato" e che di Leonardo "aveva fatto indigestione".<\/div>\n
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\"GiacomoGiacomo Raffaelli e bottega, L’ultima Cena di Leonardo da Vinci,
mosaico, 1810-1817, Vienna<\/span><\/div>\n

Perplessità sul suo lavoro e nuova temperie politica<\/strong>. Nel dicembre 1810, finalmente, Bossi presentò l'opera finita al Vicerè ed essa fu subito esposta alla Pinacoteca di Brera. Egli non ricevette una gratifica economica ma gli fu consentito di aprire una scuola di insegnamento artistico presso Santa Maria Valle, alla quale teneva molto e dove avrebbe potuto trasferire ai giovani le sue conoscenze, soprattutto teoriche.
L'opera di Bossi ebbe un certo successo all'inizio, ma non mancarono i detrattori come Carlo Verri e Ugo Foscolo. Ma fu soprattutto Stendhal a criticare aspramente l'opera definendola "molle e senza carattere" e con colori troppo vivi (mattone) che "starebbe bene in una chiesa ma stonerebbe in una galleria d'arte".<\/p>\n

L'opera, comunque, venne portata nello studio di Raffaelli<\/strong> che avrebbe dovuto realizzarne il mosaico. Nel frattempo, però, la situazione politica era cambiata con il crollo napoleonico <\/strong>e l'avvento del Governo austriaco che mise subito in discussione l'intero progetto e contestò costi e tempi di consegna. Raffaelli, ob-torto collo, vi si adeguò e terminò i lavori nel dicembre del 1817. <\/p>\n

Il mosaico dell'Ultima Cena doveva restare in Italia.<\/strong> Così almeno si augurava Raffaelli. Si era pensato di collocarlo nelle Sale Napoleoniche in Brera, ma gli austriaci decisero diversamente e l'opera venne trasportata a Vienna con 11 carri tirati da numerosi cavalli e scortati da 12 soldati. E, dopo vari spostamenti, il lavoro fu trasferito nella Chiesa degli Italiani di Vienna (Minoritenkirche) dove ancor oggi è conservato.<\/p>\n

E il dipinto di Giuseppe Bossi? <\/strong>A parte il fatto che Giuseppe Bossi non vide mai la realizzazione del mosaico, essendo morto due anni prima, la sua enorme tela, arrotolata, fu portata a Brera e qui esposta inizialmente fino al 1882, poi trasferita nella Chiesa di Santo Stefano, facendo la fine che aveva preconizzato Stendhal (opera non da museo ma da sacrestia).<\/p>\n

In effetti, questo quadro continuò a subire diverse traversie. Nel 1902 fu concesso al Castello Sforzesco per essere esposto nella Galleria d'Arte Moderna ma in realtà ciò non accadde mai. Negli anni Venti tornò al Castello e venne inserito nella Sala della Balla, insieme a una raccolta di opere cinesi e giapponesi con le quali non aveva molto a che spartire.
Insomma, la grande fatica di Giuseppe Bossi, che aveva realizzato un'opera monumentale, venne considerata, per il gusto novecentesco, quasi imbarazzante e pian piano finì nel dimenticatoio. Oltretutto, nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, un bombardamento<\/strong> aereo colpì il Castello e danneggiò proprio la Sala della Balla, distruggendo la copia dell'Ultima Cena di Giuseppe Bossi. Davvero una beffa crudele!<\/p>\n

Chi volesse approfondire questi e altri temi, potrà farlo leggendo il libro "Bossi e Goethe. Affinità elettive nel segno di Leonardo<\/strong>", a cura di Fernando Mazzocca, Francesca Tasso e Omar Cucciniello, Officina Libraria, 2016, pagg. 200, € 24,00.<\/p>\n

Ringraziamo il dott. Cucciniello per la collaborazione fornita<\/em><\/div>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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