{"id":32650,"date":"2015-05-14T11:19:57","date_gmt":"2015-05-14T11:19:57","guid":{"rendered":""},"modified":"2015-05-15T04:06:46","modified_gmt":"2015-05-15T04:06:46","slug":"quell-edificio-di-via-rossini-a-milano","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/quell-edificio-di-via-rossini-a-milano\/","title":{"rendered":"Quell’edificio di via Rossini a Milano"},"content":{"rendered":"
Un immobile ristrutturato rispettando le sue caratteristiche originali, con una torre dalle supercifi vetrate che riflette il cielo e il correre delle nubi. Stiamo parlando dell'edificio di via Rossini a Milano<\/strong>, progettato da Mario Asnago e Claudio Vender<\/strong> nel 1962<\/strong> e recentemente riadattato alle nuove esigenze d'uso di ManpowerGroup<\/strong>, leader mondiale nelle innovative workforce solution con alle spalle 65 anni di esperienza nel mondo del lavoro per creare modelli, disegnare pratiche e attingere ai talenti di cui i clienti avranno bisogno in futuro. <\/div>\n

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Il volume edito da Skira, curato dall'architetto Federico Brunetti, corredato di riproduzioni dei disegni originali e da un portfolio fotografico di particolare qualità relativo alle recenti opere di restauro filologico e all'attualizzazione funzionale secondo le esigenze e normative tipiche del terziario , presenta questo emblematico esempio di palinsesto del moderno, nel quale l'eredità materiale e culturale del Novecento ha portato alla necessità di affinare metodologie di conservazione e recupero funzionale attuali e sostenibili.<\/div>\n

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Scrive a tal proposito Monica Lattuada <\/strong>nel suo contributo dal titolo "Asnago e Vender e un moderno classicismo": "Il materiale d'archivio relativo a questo progetto è particolarmente interessante e completo. È costituito da numerose varianti di progetto fi­no a quella realizzata illustrata con lucidi originali a matita disegnati a tecnigrafo. Le diverse varianti sono documentate con schizzi a carboncino colora­to su lucido, schizzi di solo carboncino, disegni a ma­tita colorata ed eliocopie originali con appunti a la­tere: si parla di circa seicento fogli o più non ancora inventariati completamente. L'analisi e il raffronto di questo materiale ci mostrano un processo progettuale insolito rispetto ad altri progetti degli architetti, ma sempre interessan­te e ricco di stimoli. In particolare cercherò di spiegare come gli schizzi iniziali a carboncino colorato si inseriscano nel loro processo progettuale e come la loro forza espressiva li renda parlanti e validi di per sé. Ricordo la sensazione provata nel vedere per la prima volta un loro schizzo a carboncino colorato su lucido, non sapevo con esattezza a quale progetto corrispondesse, ma mi ha trasmesso una grande emozione, la stessa che provo davanti a un quadro di buon livello. <\/p>\n

Mi hanno coinvolto il dinamismo delle linee, l'equilibrio della composizione e il gioco dei colori<\/strong>: lentamente mi sono sentita all'interno del lo­ro mondo e poi di uno più vasto. I loro schizzi con colori primari e complemen­tari forti e luminosi trasmettono la positività, il fer­mento e la grande vitalità culturale di cui era im­pregnata Milano negli anni cinquanta e sessanta; i tratti decisi a mano libera indicano la fiducia nella li­bera espressione. Hanno la capacità di far affiorare l'ambiente e l'atmosfera di quel periodo e per questo là loro va­lenza trascende il campo della sola architettura. <\/p>\n

La tecnica mostra con immediatezza il connu­bio tra arte e architettura, la carta da lucido, a cui siamo soliti associare linee a riga e squadra, china e matita, dialoga con i tratti marcati del carboncino, solitamente usato, da artisti e madonnari, sfumato a mano per creare chiaroscuri ed effetti pittorici su carta ruvida o su asfalto. Il supporto molto liscio e il tratto netto del car­boncino sono un adattamento forzato di due prati­che artistiche divergenti che cercano di mettersi l'u­na al servizio dell'altra e di relazionarsi, palesando l'importanza della pittura nel loro fare architettura. La pratica della pittura è da ricondurre agli an­ni giovanili della loro formazione all'Accademia di Brera, dove si incontrano e dove scoprono quella passione per il mondo e la pratica dell'arte che li ac­comunerà sempre e a cui entrambi si dedicheranno in maniera assidua in tempi diversi della loro esi­stenza. Nella vita privata, inoltre, dichiararono di prediligere più le frequentazioni dei pittori che quel­le degli architetti. Interessante è relazionare gli schizzi con gli edifici realizzati che appaiono. di primo acchito, molto distanti tra loro per la diversità dei linguaggi espressivi; in realtà, una analisi più attenta ci mostra la connessione diretta con il progetto esecutivo.<\/p><\/div>\n

Il confronto tra gli schizzi della facciata su via­le Majno e la soluzione di progetto della stessa facciata datata 20 gennaio 1961 è im­mediato e molto chiaro. I materiali, gli allineamen­ti e il ruolo delle differenti componenti della faccia­ta ci appaiono spiegati nello schizzo che ci aiuta a comprendere il processo progettuale. Nel progetto esecutivo, il cui scopo è quello di comunicare alle maestranze i dati tecnici per la rea­lizzazione, è più difficoltoso rintracciare le leggi compositive che hanno dettato il progetto. La prati­ca dello schizzo iniziale di facciate e di piante co­struite come un quadro è il loro modo gestuale e istintivo per fissare con rapidità e forza l'ispirazione. l'idea, la legge compositiva e il linguaggio dei pro­getti. La valenza cromatica dei colori sostituisce negli schizzi i materiali della facciata (marmo e vetro) che si contrappongono con pesi diversi; i tratti deci­si del carboncino nero marcano gli allineamenti e gli slittamenti delle aperture e visualizzano la trama e l'ordito della facciata. Questi disegni astratti che sembrano eseguiti di getto contengono già la consapevolezza dell'inse­rimento dell'edificio nel tessuto urbano e della fun­zione che dovrà svolgere.
All'interno della Biennale 2012 Fulvio Irace in­daga il tema del "Common Ground" nelle facciate della Milano della ricostruzione. I curatori della mo­stra, dopo aver visionato vario materiale d'archi­vio, colpiti dall'impatto emotivo dei disegni scelgono i due schizzi di facciata su viale Majno per mostrare il modus operandi di Asnago e Vender. Da un discorso più generale sulla valenza degli schizzi nell'opera dei due architetti passiamo ad analizzare più approfonditamente il materiale rela­tivo a questo progetto. I primi schizzi di piante risalgono al novembre 1959, mentre gli schizzi per la facciata su viale Majno non sono datati ma sono conformi alle piante del 1959.<\/p>\n

Nel gennaio 1961 ci troviamo di fronte ad un progetto praticamente esecutivo, dettagliato nelle piante, nei prospetti e nelle sezioni, che ricalca le in­dicazioni dei primi schizzi. Questo progetto è in sin­tonia con la maturità linguistica a cui gli architetti erano giunti in quegli anni<\/strong> e in qualche modo anti­cipa quella ulteriore scarnificazione della facciata che caratterizzerà i loro edifici successivi, in cui il ve­tro sarà sempre più il protagonista. In questa soluzione, come documentano gli schiz­zi, molta attenzione è dedicata alla facciata su viale Majno, che diventa punto di forza del progetto ed ele­mento con cui l'edificio si relaziona con la città e dia­loga con le residenze e gli uffici di prestigio del viale. Quando tutto sembrava deciso e pronto per la realizzazione assistiamo a una trasformazione ra­dicale del progetto dal punto di vista linguistico. Non ci è dato conoscere la motivazione, ma pos­siamo ipotizzare la volontà della committenza di avere una facciata più rassicurante e conforme ai vi­cini edifici eclettici.<\/div>\n

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In soli tre mesi, dai primi di gennaio ai primi di aprile 1961, Asnago e Vender trasformano radical­mente il linguaggio delle due facciate su strada e del­l'atrio d'ingresso<\/strong>. Le piante, i prospetti interni e la di­stribuzione rimangono sostanzialmente invariati, mentre viene cambiata l'immagine della parte rappresentativa dell'edificio, la pelle esterna.<\/div>\n

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In breve tempo e con grande maestria, i due ar­chitetti riprendono i processi progettuali degli esor­di novecentisti, quando si rifacevano al classicismo prendendo a modello gli antichi, e arrivano a un progetto dettagliato e definito. Il modello di archi­tettura classica scelto, azzardo un mio parere, sem­bra proprio essere Palazzo Massimo alle Colonne di Baldassarre Peruzzi del 1532<\/strong>: su questa base viene ripensata la facciata principale che questa vol­ta è su via Rossini. Picasso diceva: "I mediocri imi­tano, i geni copiano." Sembra il caso di questa fac­ciata, che viene riproposta da Asnago e Vender con tutti gli elementi dell'edificio del 1532.<\/div>\n

L'ingresso sulla strada si struttura con un'a­pertura centrale più ampia e due aperture laterali divise da colonne. La trabeazione sopra le colonne, che nel palazzo romano nasconde balconcini pieni e dentellati, è riproposta con una fascia frastaglia­ta di balconcini impraticabili in cui il ferro è usato sia per la ringhiera che per l'effimero piano di cal­pestio, realizzato con piatti in ferro molto distan­ziati tra loro che visualizzano l'inconsistenza del balcone.<\/p>\n

Le finestre quadrate del mezzanino diventa­no dei serramenti fissi nella ringhiera piena del se­condo piano. Il finto bugnato a stucco del palazzo cinque­centesco viene riproposto attraverso un rivestimen­to in granito rosa fugato.<\/div>\n

Anche l'atrio d'ingresso ha dei rimandi 'diretti all'antico palazzo: le quattro colonne che disegnano il secondo cortile le ritroviamo all'ingresso; le pare­ti laterali dell'atrio compaiono in alcuni schizzi come nel progetto originale; il piano curvo della facciata che non poteva essere riproposto su strada lo ritroviamo nel loro edificio in una soluzione in pian­ta dell'ingresso.<\/p>\n

Vale la pena spendere due parole per descrivere il carattere degli schizzi a carboncino e a carboncino colorato su lucido da cui si è sviluppato il progetto definitivo realizzato. La pianta dell'atrio in carbon­cino sfumato rievoca le piante di architetti ri­nascimentali mentre i colori degli schizzi degli alzati, che hanno perso la luminosità di quelli della prima versione di progetto, sembrano complessivamente denunciare una sorta di oscurantismo.<\/div>\n

Questo edificio potrebbe apparire a prima vista un'opera meno riconoscibile, ma i documenti origi­nali e l'edificio realizzato ci regalano ancora una volta un'avvincente lezione di architettura e di pro­fessionalità".

Un immobile ristrutturato rispettando le sue caratteristiche originali, con una torre dalle supercifi vetrate che riflette il cielo e il correre delle nubi. 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