{"id":29836,"date":"2013-08-20T06:14:57","date_gmt":"2013-08-20T06:14:57","guid":{"rendered":""},"modified":"2019-10-28T11:47:01","modified_gmt":"2019-10-28T10:47:01","slug":"arno-breker-e-l-arte-di-regime","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/arno-breker-e-l-arte-di-regime\/","title":{"rendered":"Arno Breker e l’arte di regime"},"content":{"rendered":"
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di Sergio Pesce<\/strong><\/p>\n

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Figlio di uno scalpellino dedito alla lavorazione delle lapidi funerarie, Arno Breker impar\u00f2 presto le peculiarit\u00e0 del materiale scultoreo, nel negozio paterno. L’interesse e la curiosit\u00e0 verso quest’arte vennero “alimentati” dallo studio dell’opera di Auguste Rodin e in particolar modo dalla scultura L’et\u00e0 del bronzo<\/em><\/strong>, che ebbe modo di vedere (appena quindicenne) presso il museo di D\u00fcsseldorf.
\nL’ammirazione per lo scultore parigino lo port\u00f2, ad un certo punto della sua carriera, a scelte formali che difficilmente possiamo separare dall’intenzione artistica di imitarne lo stile. La sua personalit\u00e0 si form\u00f2 attraverso il libero studio delle epoche e degli artisti a lui pi\u00f9 congeniali, ammirando in particolar modo la scultura greco-romana e quella rinascimentale, facendosi colpire dal genio di Michelangelo, per il quale egli nutr\u00ec un’ammirazione pari, se non addirittura superiore, rispetto a quella provata per Rodin.<\/p>\n

La volont\u00e0 di frequentare i corsi accademici di Adolf von Hildebrand si inserirono agevolmente nella desiderio di approfondire i suoi studi michelangioleschi. Costretto ad abbandonare il progetto a causa di motivi economici, riusc\u00ec comunque a studiarne la scultura attraverso Hubert Netzer.
\nDalla met\u00e0 degli anni venti le sue opere iniziano a mostrare una sempre pi\u00f9 dominante chiarezza formale assieme ad una accentuata simmetria del corpo umano. Il suo evidente interesse verso la scultura greco-romana, derivante dalla cultura neoclassica maturata all’Accademia di D\u00fcsseldorf, port\u00f2 a riconoscere negli scultori classici l’abilit\u00e0 di tradurre in perfezione formale l’idea di bellezza. Considerazioni che portarono alla luce le tesi di Winckelmann (J.J. Winckelmann, Storia dell’arte dell’antichit\u00e0<\/em>, Dresda 1764); il quale ebbe modo di dichiarare che tali peculiarit\u00e0, insite nell’arte greco-romana, la determinavano come superiore. Tale<\/p>\n

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eccellenza formale, che lo storico tedesco tradusse con il termine “bellezza”, avendo raggiunto la sua punta massima non poteva pi\u00f9 essere superata. Asserzione che lo spinse a considerare l’arte successiva come un’azione corrotta, costretta a sostituire l’invenzione con l’imitazione. Tale ricerca della “perfezione”, riscontrata nelle tesi neoclassiche e individuata in un periodo ben determinato, emancip\u00f2 la voglia di rifarsi all’antico imitandone gli intenti critici.<\/p>\n

Gli studi compiuti sulla scultura classica uniti all’interesse per i busti di Aristide Maillol, porteranno Breker in Nord Africa a far visita allo sculture francese, con il quale rimase legato da amicizia sino alla morte di quest’ultimo, nel 1944.
\nNel 1927 si trasfer\u00ec a Parigi ove ebbe modo di entrare in contatto con le pi\u00f9 importanti personalit\u00e0 artistiche dell’epoca, tra cui i coniugi Delaunay e Man Ray che decise di ritrarlo. In questo periodo parigino egli dimostra la volont\u00e0 di reinterpretare la lezione di Rodin riportando in scultura ogni lineamento del volto, ammettendo come la sua attenzione sia volta allo studio della struttura del viso quale fulcro dell’esistenza umana, come emerge ne Il<\/em> Ritratto di Moissey Kogan<\/em>.<\/p>\n

Il 1929 segna un anno importante per la sua fortuna critica perch\u00e9 esponendo al Salon d’Automne venne notato dal mercante d’arte Alfred Flechtheim (amico del pi\u00f9 famoso Kahnweiler, ritratto da Picasso) che, in accordo con l’artista, decise di occuparsi della vendita dei suoi lavori. L’operosit\u00e0 del mercante ebbe da subito effetto sulla produttivit\u00e0 di Breker, tanto che a partire dagli anni Trenta le commissioni iniziarono ad essere pi\u00f9 consistenti. A coronamento di un periodo particolarmente florido per la sua attivit\u00e0, lo scultore vinse, nel 1932, il Premio Roma indetto dal Ministero della Cultura prussiano che gli permise di trascorrere un anno a Villa Massimo.
\nOltre alla visione delle antichit\u00e0 romane egli ebbe modo di trascorrere del tempo anche a Napoli e a Firenze, ove<\/p>\n

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pot\u00e9 osservare per la prima volta dal vero le opere di Michelangelo.
\nLe opere di questo periodo fanno emergere una personalit\u00e0 che ha deciso la strada da seguire imponendosi di trasportare in scultura tutti gli stimoli ricevuti. Impulsi che trovano un felice accordo tra la forza della scultura michelangiolesca e la rigida formalit\u00e0 dello studio anatomico.<\/p>\n

Nel 1934 Breker torna in Germania dopo una serie di inviti ricevuti da Grete Ring, proprietaria della galleria Cassirer e dallo zio di questa il pittore Max Liebermann. La continua aderenza all’ideale di bellezza tradotta in una ponderazione formale gli fanno ottenere delle importanti commissioni anche dal regime da poco insidiato. Nel 1936 in occasione delle Olimpiadi realizz\u00f2 due statue, poi collocate nel Reichssportfeld, l’Atleta di decathlon<\/em> e La Vittoria<\/em>, che gli permisero di consolidare la sua personalit\u00e0 artistica ottenendo onorificenze dal Reich.<\/p>\n

Le opere di Breker, da sempre basate essenzialmente sulla personificazione del Dio greco-romano carico di atteggiamenti solenni, venne letto con l’ideale di bellezza promosso dal F\u0171hrer. Tale legame contradditorio promosse ulteriori commissioni “politiche” tanto che il Ministero del Reich per l’Informazione e la Propaganda gli affid\u00f2 la realizzazione della statua di Prometeo<\/em>. Tale rapporto con il potere, che Breker sconter\u00e0 per tutta la vita, inizi\u00f2 ufficialmente nel 1938.<\/p>\n

Attraverso la mediazione di Joseph Goebbels ottenne incarico da Adolf Hitler di occuparsi del rinnovamento urbanistico della citt\u00e0 di Berlino assieme all’architetto Albert Speer. Compito che l’artista accett\u00f2, cercando un connubio con l’architettura che aveva avuto modo di approfondire, negli suoi anni giovanili grazie alla figura di Wilhelm Kreis. Nel 1940 accetta la commissione di due sculture Il Portatore di spada<\/em> e Il Portatore di fiaccola<\/em> entrambe poste davanti alla Cancelleria del Reich. I nomi furono successivamente cambiati da Hitler rispettivamente con L’Esercito <\/em>e Il Partito<\/em>, suggerendo il significato intrinseco che l’opera doveva avere. Forse per questi motivi Breker non dimentic\u00f2 mai la lezione di Maillol continuando a spendersi nella realizzazione di<\/p>\n

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busti, che avevano evidentemente una dimensione pi\u00f9 intima e meno forzatamente legata alla propaganda, che comunque gli offriva una mole di lavoro ragguardevole, tanto che per rispondere puntualmente a tutte le offerte Breker utilizz\u00f2 due studi (a Berlino) avvalendosi dell’aiuto di un centinaio di allievi provenienti da diversi paesi d’Europa.<\/p>\n

La sue opere gli permisero di diventare membro d’onore dell’accademia prussiana di belle arti, ove proprio qualche anno prima c’era stato l’allontanamento del preside nonch\u00e9 suo vecchio amico Max Liebermann, a causa della sua fede ebraica. Non si hanno elementi per evidenziare il ruolo che Breker ebbe nella faccenda ma certo \u00e8 che la successiva richiesta del F\u00fchrer che lo volle come guida nella citt\u00e0 di Parigi il giorno seguente all’armistizio franco-tedesco, individu\u00f2 lo sculture tedesco nella sfera politica, indirizzando la critica d’arte, successiva al conflitto mondiale, verso un allontanamento e una emarginazione dei suoi lavori.<\/p>\n

Nei primi anni Quaranta le sue sculture oramai tradivano gli insegnamenti michelangioleschi proponendo una cura estrema dell’anatomia, andando ad identificare opere come Camerati<\/em> quali risultati di “bottega”, risultando significativamente diversi rispetto alla grazia e alla ponderazione formale riscontrata in Apollo e Dafne<\/em> realizzato nel 1930.<\/p>\n

Al termine del conflitto, con la sconfitta della Germania, entrambi gli studi vennero distrutti dagli alleati. Successivamente il governo comunista della Germania dell’Est confisc\u00f2 tutte le propriet\u00e0 dello scultore, mettendo all’asta le opere con la precisa norma che proibiva a qualsiasi tedesco di poterle acquistare. Negli anni Cinquanta, dopo una breve parentesi in cui si dedic\u00f2 agli acquerelli, Breker decise di realizzare una serie di sculture astratte per poi assecondare il suo ritorno all’ideale classico.<\/p>\n

Analizzando la fortuna critica di Breker emergono alcune considerazioni che portano certamente l’artista entro certi canoni pi\u00f9 consoni al suo fare, tralasciando evidentemente le implicazioni politiche che per molto tempo (se non ancora oggi) ne hanno decretato una certa emarginazione. L’attrice Marlene Dietrich ammise candidamente di aver sognato pi\u00f9 volte gli uomini che Breker scolp\u00ec, mentre in occasione dell’inaugurazione del Museo Dal\u00ec a Figueres l’artista surrealista dichiar\u00f2 pubblicamente che la presenza dello scultore tedesco identificava quello che chiam\u00f2 “il triangolo d’oro”, composto da Dal\u00ec stesso, Breker e Fuchs.<\/p>\n

Nello studio delle sue opere il ruolo della critica sar\u00e0 invitata ad eclissarsi davanti a posizioni che si pongano in favore o in contrasto con la sua figura. Ritengo quindi calzante chiudere questo affondo citando, non a caso, lo storico e partigiano francese Marc Bloch, che nell’ultima fase della sua vita, terminata tragicamente con la fucilazione, scrisse: “Ci sono due modi di essere imparziali: quello dello studioso e quello del giudice. Essi hanno una radice comune, che \u00e8 l’onesta sottomissione alla verit\u00e0. (…) Quando lo studioso ha osservato e spiegato, il suo compito \u00e8 concluso. Al giudice tocca ancora emettere la sentenza, rendendosi imparziale. E lo sar\u00e0, in effetti, dal punto di vista dei giudici. Ma non da quello degli studiosi. “(Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou M\u00e9tier d’historien<\/em>).<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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