{"id":27605,"date":"2012-09-06T06:37:30","date_gmt":"2012-09-06T06:37:30","guid":{"rendered":""},"modified":"2019-10-28T11:33:50","modified_gmt":"2019-10-28T10:33:50","slug":"i-registri-di-pietro-edwards","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/i-registri-di-pietro-edwards\/","title":{"rendered":"I registri di Pietro Edwards"},"content":{"rendered":"
\"Veduta<\/div>\n
di Sergio Pesce<\/strong><\/div>\n
<\/div>\n
Veduta interna del cortile della Pinacoteca di Brera<\/div>\n

Una delle figure pi\u00f9 importanti e controverse della Venezia del Settecento \u00e8 certamente quella di Pietro Edwards. Capo indiscusso della burocrazia dell’arte veneziana dagli ultimi anni della Repubblica Serenissima sino all’avvento degli austriaci.
\n<\/strong>Figlio di cattolici inglesi che emigrarono in Italia a causa delle persecuzioni, nacque a Loreto nel 1744. Nel 1752 si trasferir\u00e0 a Venezia dove vi rimarr\u00e0 sino al 1821. Sappiamo che si spos\u00f2 con Teresa Fossati ed ebbe un figlio, Giovanni, che collaborer\u00e0 con lui nei restauri<\/strong>. La sua formazione la deve all’Accademia. Dal 1776 occuper\u00e0 il ruolo di segretario presso il Collegio dei Pittori e nel 1777 restaurer\u00e0 il soffitto di Paolo Caliari (detto il Veronese) nella sala dell’Anticollegio a Palazzo Ducale. In breve tempo diventa presidente dell’Accademia, ispettore alle Pubbliche Pitture, conservatore dei Beni delle Gallerie e delegato a quelli della Corona. Cariche di responsabilit\u00e0 spesso in conflitto tra loro.<\/strong><\/p>\n

Nonostante la sua competenza in materia di restauro, taglia e ricuce varie tele per isolare un singolo soggetto ritratto o un paesaggio. Attivit\u00e0 discutibile ma che va certo inquadrata nel modus operandi <\/em>comune del tempo.<\/p>\n

Le soppressioni delle corporazioni religiose, decise dal Senato veneziano nel 1768, diedero vita al periodo pi\u00f9 buio della Serenissima, che vide la “diaspora” di molteplici oggetti d’arte,<\/strong> tra cui dipinti, statue, arredi di chiese e paramenti, il tutto sotto la supervisione di Edwards.
\nEgli, infatti, nei registri divise i capolavori provenienti da questi ordini in tre categorie distinte: per la Corona, per i musei o le chiese, e quelle da vendere.<\/p>\n

Il suo \u00e8 un lavoro scrupoloso di critica e quindi di scelta<\/strong>. Tali distinzioni gli servirono per propone i dipinti all’aristocrazia viennese e milanese per nobilitare le<\/p>\n

\"LeLe nozze di Cana (partic.)<\/div>\n

residenze e successivamente per arricchire il catalogo della nascente Pinacoteca di Brera. <\/strong><\/p>\n

Sappiamo che imballa in prima persona Le nozze di Cana<\/em> di Veronese arrivata a Parigi il 15 luglio 1798. Due giorni di festa poi celebrarono il suo ingresso nella Villa Lumi\u00e8re.
\nA descriverci lo stato d’animo del suo gesto ci pensa lo stesso Edwards che, a tal proposito, scrive di aver operato: “con profonda ma dissimulata tristezza d’animo(…)”.<\/p>\n

La Nascita della Vergine<\/em> di Vittore Carpaccio realizzata per la Scuola degli Albanesi, distinta da Edwards come opera per la Corona, venne prelevata da Eugenio Beauharnais (Vicer\u00e8 del regno d’Italia) per poi cederla al conte bresciano Teodoro Lechi, oggi visibile a Bergamo preso l’Accademia Carrara. La Presentazione al Tempio <\/em>e lo Sposalizio della Vergine<\/em> sempre dello stesso ciclo si trovano oggi alla Pinacoteca di Brera.<\/p>\n

Dei tre teleri che Jacopo Robusti (meglio noto come Tintoretto), realizzati per la Scuola grande di San Marco<\/p>\n

\"NascitaNascita della Vergine (partic.)<\/div>\n

negli anni sessanta del Cinquecento, uno si trova a Brera ed \u00e8 Il ritrovamento del corpo del Santo<\/em>. Successivamente, fu portata anche la Predica di San Marco in Alessandria<\/em> un capolavoro di grandi dimensioni, parliamo di circa otto metri, figlio della mano di Gentile Bellini e del fratello Giovanni.<\/p>\n

La collaborazione di Edwards con il potere francese allora imperante in laguna \u00e8 confermata ancora nel 1797, ancor prima del Trattato di Campoformio, quando i commissari napoleonici notificano a Venezia la consegna di 20 dipinti e 500 manoscritti.<\/strong>
\nTra il 1808 e il 1811 spedisce 210 dipinti a Milano. Tra i primi 88 troviamo undici dipinti di Veronese, tre di Giovani Bellini e un polittico di D\u00fcrer.
\nSi pensi che la vasta disponibilit\u00e0 di simili oggetti sul mercato dell’arte, frutto anche di questa continua dispersione compiuta da Edwards, aveva depresso in maniera netta le quotazioni, restituendo a Venezia un risultato economico pressoch\u00e9 fallimentare. Cosa che aggiunse la beffa al danno. La fretta dei continui trasferimenti danneggiava enormemente le opere, e cosa ancor pi\u00f9 grave agevolava le dispersioni, come avvenne nel 1811 con i 30 dipinti destinati a Milano, uno dei quali attribuito a Girolamo Schiavone. Questi non giunsero mai a destinazione.
\n
\nL’attivit\u00e0 di vendita frenetica ci consegna oggi alcuni problemi filologici di non facile soluzione.<\/strong> Si pensi a tal proposito ai quattro trittici<\/em> di Giovanni Bellini, un tempo ospitati nella chiesa di Santa Maria della Carit\u00e0. Essi finirono divisi tra Milano e Vienna. E fu solo con una mostra presso le Gallerie dell’Accademia a Venezia, negli anni cinquanta, che si pot\u00e9 ricostruire l’unit\u00e0 compositiva dell’opera, senza peraltro sapere se il loro ordine ricostituito fosse corretto. <\/strong>Edwards infatti decise di non numerare le singole parti. Seguendo questa<\/p>\n

\"PredicaPredica di San Marco in Alessandria (partic.)<\/div>\n

metodologia di vendita, affidata cio\u00e8 alla separazione delle singole parti dell’opera, destinate come visto, a compratori diversi, l’eventuale numero che possa permettere la corretta unit\u00e0 del tutto deve essergli sembrato superfluo.<\/p>\n

I suoi elenchi e quelli dei suoi collaboratori, nati essenzialmente per compiere buoni affari, sono oggi dei contenitori di importanti informazioni sulle opere, sul valore di stima e in alcuni casi anche sulla collocazione. I registri erano divisi in sette colonne nelle quali compariva; il numero progressivo, la provenienza, le dimensioni, lo stato di conservazione, il soggetto, l’autore, e le annotazioni. Al di l\u00e0 del loro scopo, dobbiamo notare l’accuratezza nel creare in maniera saggia delle vere e proprie schede di catalogo.<\/p>\n

L’agire ardito, ma al tempo stesso consono con i tempi da lui vissuti ha portato a considerare Pietro Edwards un personaggio ambiguo. Se le sue qualit\u00e0 di restauratore, nonostante alcune libert\u00e0 nei “tagli” di tele, sono oggi pienamente accettate, diversa \u00e8 la considerazione dell’uomo politico che non esit\u00f2 a supportare la dispersione del patrimonio artistico della Repubblica Serenissima.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

di Sergio Pesce Veduta interna del cortile della Pinacoteca di Brera Una delle figure pi\u00f9 importanti e controverse della Venezia del Settecento \u00e8 certamente quella di Pietro Edwards. Capo indiscusso della burocrazia dell’arte veneziana dagli ultimi anni della Repubblica Serenissima sino all’avvento degli austriaci. 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