Una moderna kore in carne e ossa, una presenza femminile che ha appena superato la fase della fanciullezza, non appartenente all'acropoli o agli scavi della colmata persiana, dal volto e dall'aspetto tanto indeterminati quanto designati da quel titolo che non lascia dubbi: "Artemis".

L'artista Costas Tsoclis, protagonista con la sua installazione in Sala Veratti a Varese, trae ispirazione sia dall'epoca arcaica sia dalla filosofia e dalla letteratura contemporanee. E nel giro di pochi minuti – giusto il tempo che ormai siamo soliti concedere ad una moderna video-installazione – la virginea presenza si trasforma in una statua mutilata (dal tempo e dalle ingiurie umane), in un pezzo da museo, in una romantica pulsione carnale, in un drammatico residuo post-bellico.
In questo modo, la classicità varca ogni epoca, attraversa di prepotenza la modernità e la cronaca, si imbeve di sangue e di fibre muscolari, tra Gericault e pellicole pulp.

In occasione della Presidenza Ellenica del Consiglio dell'Unione Europea, il Comitato Organizzativo del "Semestre Greco 2014" del CCR di Ispra con la collaborazione del Comune di Varese mette in campo quest'opera di Costas Tsoclis, uno dei maggiori rappresentanti della gloriosa generazione degli anni '60 che ebbe l'onòre e l'ònere di rappresentare la penisola ellenica alla Biennale di Venezia del 1986.
L'installazione "Artemis", visibile in Sala Veratti fino alla fine di marzo, è una versione aggiornata del lavoro "Tsodis", preparato per il 1997.
Il lavoro, nella sua forma originale, fu creato per l'evento "Tessalonica, Capitale Culturale Europea" ed appartiene al Museo Nazionale di Arte Contemporanea di Atene.

In questa versione aggiornata ma inesorabilmente periferica, il lavoro artistico assume intonazioni tanto nostalgiche quanto apocalittiche, con non troppo velati riferimenti ad una situazione nazionale, politica e sociale, che tiene col fiato sospeso l'Europa tutta. Un contagio che si esprime con il linguaggio della finanza e che rischia di veder mangiate carni, cuore e ossa di una cultura che ha smarrito la propria coscienza, oltre che la propria agenda culturale, e per la

quale i vari tentativi di salvataggio si sono finora rivelati scarsamente efficaci.

Il virus contemporaneo è costituito da una moderna troika, dalla speculazione, da una sorta di perenne preparazione alla rivolta civile, ed è impossibile, superficiale e forse irresponsabile guardare alla mostra di Varese solo come ad una mera "operazione di vernissage".
La rassegna in Sala Veratti si aggrava di un'ulteriore nota opaca, risultando completamente sfilacciata tanto dal programma culturale cittadino quanto da quello – silente e poco condiviso – di quello straordinario e trascurato polo che è il CCR di Ispra.
A nostro avviso, l'operazione – avulsa dal calendario culturale e comunicata in modo arruffato – ha troppo il sapore di qualche cosa di improvvisato, di poco meditato, capitato lì, quasi per "coincidenze astrali" e afferrato al volo. E con ogni probabilità, la stessa operazione neanche sospetta di aver già scatenato reazioni sconcertate e disorientate, facendo montare sempre la stessa domanda: "Davvero etica ed estetica sono subordinate tra loro"?