Un'immersione totale nella luce e nel colore, la ricerca costante e sistematica del punto iniziale della coscienza e della percezione, il desiderio di trovare qualcosa di più importante del divenire.
La mostra di Irwin e Turrell interroga il visitatore continuamente, mentre si attraversa un deserto pieno di luce e non di cose, senza punti di riferimento, ma con immense distese che assorbono definitivamente l'io.
È evidente che gli artisti non hanno bisogno di una semplice tela ma di un ambiente, di una stanza, richiamando di continuo l'attenzione oltre le pareti di nebbia, oltre l'isolamento, il rimpianto e la nostalgia. Ma gli elementi dell'espressione artistica e descrittiva sono quelli di sempre: luce e colore.

Già nel catalogo della collezione della Villa del 2002, il Conte Panza, a proposito delle opere di Irwin, Turrell e Nordman, avvertiva: "È un luogo che impone le domande "tu chi sei?", "cosa vuoi?", "cosa hai dentro di te?". Per questa ragione la stanza della Nordman, come tutto il resto, deve essere vista in solitudine, in silenzio, lentamente".

In una recente intervista, Turrell a questo proposito ha spiegato: "Se prendiamo in esame alcune cattedrali gotiche, la cosa che io trovo interessante è soprattutto la forza che esercita lo spazio di queste cattedrali. Non è tanto una questione architettonica, anche se certamente l'architettura di queste strutture contiene lo spazio, è il senso della luce che in quel momento abita quello spazio. A volte questa

forza, questa potenza, non riesce a trovare un rivale nelle altre cose che abitano all'interno di queste cattedrali. Quindi direi che questo senso spirituale dello spazio viene meglio gestito e capito dall'artista che ha creato quell'opera. Immaginate di attraversare il deserto per ricercare la zona dove cresce il cactus e dopo lunga ricerca ad un certo punto ne trovate un esemplare e l'osservate attentamente durante la notte. Allora qual è il processo? Con la luce della luna vedete che il fiore di cactus si apre e poi quando subentra la luce del sole al mattino si richiude finché diventa secco, appassisce. Lo stesso fenomeno potrebbe essere osservato in una serra anche a Roma. L'oggetto della percezione sarebbe esattamente il medesimo ma l'esperienza della percezione sarebbe del tutto diversa. Qui lavorare con ciò che è fisico non è così importante come lavorare con l'esperienza diretta, con la percezione; quindi non si lavora tanto sull'opera, sull'oggetto, ma sui limiti dell'esperienza. Tutto ciò che è fisico viene ridotto al minimo necessario. All'inizio, quindi, per quello che mi riguardava, io volevo soprattutto lavorare con la luce. Non la luce che emana un disegno o un quadro, non quella che viene da un plexiglas o da un vetro oppure da una finestra o da un qualsiasi schermo, non questo tipo di luce. Solo il tipo di luce che abita lo spazio. (…) Ma il desiderio che io ho provato, che mi ha spinto a lavorare con la luce, è scaturito da questo senso d'attrazione che io provavo nei confronti della luce stessa; lo stesso tipo d'attrazione che

tutti noi proviamo di fronte al fuoco di un caminetto d'inverno".

Nelle diverse installazioni di Irwin e Turrell presentate a Varese per tutto il 2014, le forme si trasformano in spazi vuoti e infiniti, le stanze diventano ambienti dove tutto si rivela opera d'arte. Il cielo, il vuoto e un albero vengono letteralmente incorniciati ed isolati dall'intervento dell'autore. E accade che la natura e le cose, guardate in questo modo, acquistano un'inedita intensità.