Alla conferenza stampa di presentazione i tre giovani artisti Ozmo, 2501, Zibe animano il dibattito sul significato di street art e dimostrano di avere le idee chiare. A confermarlo, per i più scettici, i due lavori realizzati dentro e fuori la Fondazione Bandera, già conclusi e visibili. Da domenica saranno esposti altri lavori (opere su tela, video, installazioni) a dimostrazione che la street art non è fatta solo di graffitari e che dietro a questa etichetta si cela un universo complesso che sfugge ad ogni definizione.       

In conferenza stampa avete chiarito che il termine "writers" non vi si addice. Quale definizione è più indicata?
2501: "Il fatto è che non esiste una definizione corretta che esprima appieno ciò che facciamo. La street art è arte sui muri, è arte pubblica che investe la città, ma è anche tanto altro. Basta vedere nel nostro gruppo: ognuno di noi tre ha una formazione e delle esperienze diverse che si traducono in differenti stili. Ozmo ha studiato all'Accademia di Brera, io alla Scuola Civica di Cinema di Milano. Abbiamo iniziato tutti sulla strada, ma il nostro lavoro non si ferma lì. Street artist è forse il termine più opportuno, ma credo che definirci artisti sia anche meglio".

L'opera di ZibeL'opera di Zibe

Siete passati tutti dalla "tag" per poi evolvere il vostro linguaggio personale?
Zibe: "Sì. Diciamo che l'esperienza urbana della street art è un'attitudine che ci accomuna, è la componente "out" che ci qualifica come street artist e ci fa rientrare in una macrocategoria dai confini imprecisi. Poi però è l' "in" che ci differenzia perché come singoli artisti facciamo cose anche molto diverse".
2501: "…sì, ad esempio Ozmo non è nuovo a collaborazioni con varie gallerie, mentre io realizzo anche video e lavoro anche su tela, ma in maniera molto diversa rispetto ai lavori su muro."
Ozmo: "Beh non è detto che si debba passare obbligatoriamente dal "tag", anche se credo che quella fase iniziale di "writer" è sicuramente un passaggio importante e penso che abbia un valore formativo non indifferente".

Quindi la street art non si ferma solo all'intervento illegale sui muri della città, ma può vivere anche nei musei, nelle gallerie. Non è un po' tradire la sua anima urbana trasgressiva?
Ozmo:
"Ovviamente qualcuno ha parlato di morte della street art. Ad esempio quando c'è stata la mostra al Pac. Ogni artista ha la sua opinione in merito. Effettivamente sempre più accade che ci sia una migrazione dalla strada ai musei e la città si svuota e ne perde un po'. Io personalmente non credo che le due cose entrino in contraddizione. Se un comune ci dà l'autorizzazione a lavorare o addirittura ci coinvolge in un progetto tanto meglio. Se possiamo dipingere in condizione migliori anche l'opera ne beneficia e il risultato sarà migliore. Non è l'illegalità che dà valore all'opera, assolutamente, ma la possibilità di arrivare alla gente con un messaggio, di rendere l'opera fruibile".

I Cavalieri dell'Apocalipso parte 2.Opere di OzmoI Cavalieri dell'Apocalipso parte 2.
Opere di Ozmo

Si parla tanto di Street art ultimamente, con Sgarbi che la sostiene, e tanti ancora che la demonizzano. Qual è il vostro punto di vista su questo fenomeno?
2501: "Sicuramente oggi è sempre più sotto i riflettori, ma ormai è una corrente artistica con una storia di un certo peso che rimonta a Haring, Basquiat e arriva a Banksy che è valutato migliaia di dollari alle aste d'arte. E' un fenomeno sociale e artistico che non può essere più ignorato, ma che purtroppo stenta ancora ad essere compreso e viene etichettato in maniera superficiale sotto diciture approssimative o a causa di qualche pregiudizio. Senza dubbio è forse il movimento artistico che al momento conta più artisti al suo interno e per questo ha una forte valenza di aggregatore sociale".

Arriviamo a Busto Arsizio. Cosa rappresentano i vostri lavori?
Ozmo: "Si tratta di due interventi, uno interno alla Fondazione Bandera, nel cortile, l'altro fuori, in città, nelle vicinanze della fabbrica, dal titolo "i cavalieri dell'Apocalipso". Entrambi prevedono un lavoro di Zibe, con le sue famose facce di Arnold, realizzate a stencil, e un'opera a due mani, mia e di 2501.

Ozmo - 2501Ozmo – 2501

Al centro domina una enorme Madonna: non è un soggetto molto consueto in questo tipo di arte…
Ozmo: "No, infatti. Fa parte del mio linguaggio pittorico. Lavoro molto sull'iconografia tradizionale e amo attingere anche dal repertorio religioso. Questo crea un po' di straniamento, sia per il soggetto, assai insolito nel contesto urbano, sia per le sue dimensioni enormi. Mi piace creare un cortocircuito visivo".

Non è un caso che anche qui a Busto Arsizio uno dei vostri interventi sia stato fatto sui muri di una fabbrica. La periferia sembra essere l'habitat perfetto della street art?
2501: "Effettivamente è così. Fabbriche dismesse e periferia industriale si prestano particolarmente perché sono dei non-luoghi, sono territorio di nessuno. Hanno perso la loro funzione e, con essa, la loro identità e noi in un certo senso gli diamo una nuova vita. E' incredibile che proprio dalla marginalità, là dove c'è abbandono da parte delle istituzioni, nascano le cose più notevoli."