Milano – Dal 22 maggio al 28 giugno, la Paula Seegy Gallery ospita una mostra che riunisce tre figure chiave dell’arte del secondo Novecento, protagonisti di una stagione creativa intensa e cosmopolita: Costantino Nivola, Angelo Savelli e Salvatore Scarpitta. Intitolata Nivola, Savelli, Scarpitta: un trio internazionale, l’esposizione, curata da Luigi Sansone, propone un percorso inedito tra le opere dei tre artisti, esplorando il fertile dialogo artistico e culturale tra l’Italia e gli Stati Uniti.
Il progetto espositivo mette in luce la densità di un’esperienza transatlantica: tutti e tre gli artisti hanno vissuto e lavorato a lungo tra Europa e America, diventando punti di riferimento nella rete di scambi tra i due continenti. Come sottolinea Sansone, “hanno respirato e vissuto l’arte e la cultura dei due continenti e nello stesso tempo hanno contribuito a far conoscere l’arte italiana in America ed essere “ambasciatori” dell’arte americana in Italia”.
Costantino Nivola è rappresentato da sculture in terracotta, latta e bronzo, oltre che da disegni, pastelli e litografie. Le sue forme essenziali e simboliche – come le terrecotte del 1977 o le lamine in latta del 1979 – riflettono un linguaggio sospeso tra la radice mediterranea della Sardegna e il respiro della modernità americana. Le litografie Su vadianu ed Esperanzia evocano archetipi arcaici, mentre i disegni preparatori rivelano l’interesse dell’artista per la relazione tra gesto, spazio e architettura. “La scultura è l’arte di creare opere tridimensionali con un rapporto di forme potenziate dalla luce”, scriveva nel 1958 su It is.
Con Angelo Savelli, il bianco diventa protagonista assoluto. Le sue opere, dal rigore geometrico di Composizione (1953) alle superfici monocromatiche degli anni Ottanta come Diamond (1980) o Harmony (1985), offrono un’esperienza visiva di contemplazione e silenzio. Il bianco, diceva l’artista, “è esploso in tutta la sua potenza espressiva”, trasformandosi in luce viva e campo di vibrazione emotiva.
A incarnare con maggiore evidenza la tensione tra radici italiane e sguardo americano è Salvatore Scarpitta. La sua produzione, densa di energia trattenuta e ferita, attraversa tecniche e materiali: dalla tela estroflessa del 1957 ai collage Incidente a Rimini (1977), fino ai lavori su tela con bitume e olio degli anni Ottanta. In mostra anche Senza titolo (kite for invasion), frammento superstite di un’installazione del 1961. In Scarpitta convivono memoria e corsa, materia e impatto, in un’esplosione di forza visiva.
La collettiva non si limita a un confronto tra poetiche, ma propone una narrazione viva della modernità artistica, costruita attorno alle tensioni tra identità e linguaggio, forma e materia, luce e memoria. In un ideale “spazio-tempo” tra le due sponde dell’Atlantico, la mostra ricostruisce un orizzonte condiviso ma differenziato, dove l’arte diventa ponte culturale.
L’esposizione allestita in via San Maurilio, è accompagnata da una pubblicazione con testi critici del curatore Luigi Sansone. Orari al pubblico: da martedì a sabato dalle 12 alle 19.
Costantino Nivola nasce a Orani (Nuoro) nel 1911. Si diploma all’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Monza, in seguito diviene Art Director per la Olivetti di Milano e nel 1939 si trasferisce a New York. Entra nella scena artistica americana del dopoguerra, stringe amicizia con de Kooning, Kline, Vicente, Sterne, Léger, Calder, Steinberg e Le Corbusier, con il quale instaura un rapporto duraturo. Fa parte del Club di New York, nato intorno al 1948, nel cui ambito lo scultore Philip Pavia, artisti tra i quali Robert Motherwell, Willem de Kooning, Isamu Noguchi, George Spaventa e il futuro gallerista Leo Castelli, si uniscono per progettare la 9th Street Art Exhibition of Paintings and Sculpture, svolta importante per la pittura moderna americana. Collabora alla rivista “It Is. A Magazine for Abstract Art” fondata e diretta da Pavia nell’ambito del Club; tiene la sua prima mostra di scultura nel 1950 alla Tibor de Nagy Gallery. Realizza grandi bassorilievi in sabbia e il murale per lo showroom Olivetti a New York (1954), che riscuote un grande successo e gli spalanca le porte a numerose committenze pubbliche e private. Nonostante la lunga permanenza in America, mantiene un forte legame con l’Italia, testimoniato da progetti come il restauro di Piazza Sebastiano Satta a Nuoro, il graffito e l’affresco per la facciata della Chiesa di Sa Itria a Orani, le mostre a Milano alla Galleria del Milione (1959) e alla Galleria dell’Ariete (1962). La sua opera riflette temi della vita quotidiana e del tempo libero, la ciclicità dell’esistenza e l’identità sarda, come nelle serie Madri, Vedove e Lavoratori sardi. Per Nivola, la luce del Mediterraneo a lui molto cara è inseparabile dalle sculture.
Angelo Savelli nasce a Pizzo Calabro (Catanzaro) nel 1911. Frequenta il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 1945 aderisce all’Art Club insieme ad artisti come Severini, Montanarini, Tamburi e successivamente Turcato, Consagra, Corpora, Mafai, Perilli e Piero Dorazio, suo caro amico. Partecipa a diverse edizioni della Quadriennale di Roma e della Biennale di Venezia, dove nel 1964 riceve la medaglia d’oro per la grafica. Nel 1953 sposa la giornalista americana Elizabeth Fisher, con la quale si trasferisce definitivamente a New York, attratto dal grande fermento culturale della metropoli americana in un periodo in cui l’Espressionismo astratto domina le scene del mondo dell’arte. Entra subito in contatto con alcuni esponenti della New York School, tra i quali gli scultori Philip Pavia e Costantino Nivola, i pittori Herbert Ferber, Motherwell, Newman, Reinhardt, Stamos, Marca-Relli e Salvatore Scarpitta. Tra il 1955 e il 1956 Savelli inizia a realizzare presso l’Artist Workshop di New York una serie di serigrafie e acquerelli dai colori forti e contrastanti di carattere espressionista astratto e crea per la prima volta, in un unico esemplare, una stampa monocromatica bianca. Nel 1958 alla galleria di Castelli espone per l’ultima volta la sua pittura coloristica; in seguito la sua arte sarà incentrata sul bianco come espressione di meditazione spirituale, che lo accompagnerà per sempre. Dal 1960 insegna all’Università della Pennsylvania a Philadelphia e a seguire alla Columbia University di New York. Nel 1979 riceve una borsa di studio dalla Fondazione Guggenheim, che gli consente un lungo soggiorno in Europa. Espone nel 1984 al P.A.C. di Milano; nel 1988 la Rai di New York gli dedica un documentario. Nel 1991 viene intitolato a suo nome il Centro per l’Arte Contemporanea di Lamezia Terme. Muore il 27 aprile del 1995; lo stesso anno la Biennale di Venezia gli dedica una sala personale.
Salvatore Scarpitta nasce a New York nel 1919 e si trasferisce in Italia nel 1936 da Los Angeles per studiare all’Accademia di Belle Arti di Roma. Durante la Seconda guerra mondiale, in quanto americano e antifascista, viene internato sul lago di Bolsena, riesce a fuggire sui monti dell’Abruzzo e successivamente raggiunge Napoli, dove nel 1945 presta servizio nella Marina degli Stati Uniti come interprete per l’esercito americano. Dopo un breve rientro in California nel 1946, torna in Italia e tiene le sue prime mostre personali a Roma presso le Gallerie Chiurazzi, Il Pincio e La Tartaruga, a Milano alla Galleria del Naviglio e alla Galleria dell’Ariete. Nel 1958 presenta alla Tartaruga i primi “quadri bendati”, realizzati con strisce di cotone imbevute di resina e adesivi, opere con cui si avvia a una lunga e proficua collaborazione con Leo Castelli. Grazie all’aiuto di Ileana Sonnabend e di Frederick Kiesler, nel 1959 espone per la prima volta alla Castelli Gallery di New York. Negli anni Sessanta, alla Dwan Gallery di Los Angeles, oltre alle sue “bende”, espone le X Frames, opere modulari che anticipano il minimalismo, corrente che dopo pochi anni avrebbe spopolato a livello internazionale. Nel 1964, alla Galleria dell’Ariete, presenta lavori con pezzi di auto da corsa, riflettendo la sua passione per l’automobilismo, finché nel 1986 gareggia con una sprint car da lui stesso costruita, la Sal Scarpitta Special. Dagli anni Settanta si dedica alla costruzione di slitte – veicoli scultorei in materiali misti e strisce avvolte in resina – considerate tra le sue espressioni più poetiche. Riconosciuto per inventiva e profondità pittorica, viene definito da Piero Dorazio “uno dei veri protagonisti” della sua generazione.