Novara – Per gli amatori della pittura dell’Ottocento, soprattutto di quella che non si vede nei musei ma che è gelosamente custodita nei salotti delle case private, è giunta l’ora di andare, anzi tornare, al Castello Visconteo Sforzesco di Novara dove è aperta (e lo resterà fino al 6 aprile 2026) la mostra L’Italia dei primi italiani. Ritratto di una nazione appena nata. Vuol essere questa rassegna una sorta di viaggio pittorico compiuto nella seconda metà dell’Ottocento durante il quale s’incontrava e ammirava la vita alacre e colorita della gente d’Italia e si rimaneva stupiti davanti a paesaggi di ineguagliabile incanto. I nostri artisti furono davvero bravi a fermare questo composito universo, almeno sulle tele luminoso e in pace, raffigurando con una pittura colma di piacere narrativo e rappresentativo le bellezze naturali del paesaggio, la semplicità episodica del quotidiano e il suo vivace folklore.

Proprio con opere di soggetto tanto vario e brillante è allestita la rassegna novarese dove geograficamente il Bel Paese è tutto presente, dalle vedute luccicanti di neve della Val Vigezzo e di Cortina dipinte da Cesare Maggi e dallo specchio turchino del lago Maggiore di Angelo Morbelli fino alla radiosa luce della Marina Grande di Capri magistralmente colta da Rubens Santoro, alla garibaldina e quieta Caprera ritratta da Luigi Steffani e alla sinfonica maestà della Conca d’Oro palermitana di Francesco Loiacono. In mezzo tutta l’altra Italia (e qui si potrebbe aggiungere il verdiano “sì bella e perduta”) anche quella meno nota e consueta e se davanti ai panorami ci si poteva a ragione incantare, non si poteva non prestare sguardi incuriositi al gran daffare delle Lavandare dell’Ema protagoniste di un quadro di Angiolo Tommasi, al lavoro non facile degli

Oiseleurs di Alceste Campriani o alla Raccolta delle zucche di Francesco Paolo Michetti per la quale D’Annunzio non fu parco di mirabolanti parole descrivendone l’ambientazione simile a “ruina immane di una pagoda, a frammenti di colossi buddistici” e indugiando sulle “cocozze chiazzate di strane forme, di strani contorcimenti, simili a teschi mostruosi, a vasi guasti da gonfiori”.
Emozionante, pittoresca, folkloristica certo l’illustrazione del piccolo e giovane mondo italiano, ma non erano soltanto questi i soggetti scelti dai pittori. La borghesia andava affermandosi e ci teneva, eccome, ad essere rappresentata e a mostrare il suo status emergente. Giuseppe De Santis la ritrae mentre passeggia elegante e svagata nel parco della Villa Comunale di Napoli mentre Vespasiano Bignami la coglie “il dì di San Giorgio” nella scampagnata primaverile fuori Milano dove al passaggio della compagnia “dei sciuri” un oste si leva il cappello sperando in una loro sosta.

Non era tuttavia solo così (anzi!) l’Italia della seconda metà dell’Ottocento: problemi tanti e gravi non mancavano; la povertà dilagava, le cucine economiche per un pasto a buon mercato non avevano mai un posto libero come si vede nel quadro di Attilio Pusterla, l’ “amore venale” era diffuso e lo colse nella sua scabra realtà Angelo Morbelli, il lavoro dei bambini nelle fabbriche, molto duro ed estenuante, era una piaga. Qualcuno di loro sfuggiva però a fatiche così brutali: per i ragazzi chioggiotti di un quadro di Leonardo Bazzaro era solo un gioco la Scelta delle moeche e per la Piscinina del Longoni c’era la speranza di una mancia portando il vestito a una signora sicuramente ricca. Giusto come poteva essere la madre che nella tela di Italo Nunes de Vais saluta con un bacio la figlia dal finestrino di un treno in partenza verso mete lontane. Proprio come sarà per l’Italia e anche per i suoi artisti.
Giuseppe Pacciarotti









