Busto A – “Capire come avviene il rapporto tra un grandissimo maestro del Rinascimento e un artista di epoca neoclassica è lo scopo di questa mostra“. Così esordisce Silvio Mara, curatore dell’esposizione “Giuseppe Bossi e Raffaello – Opere dalle Collezioni civiche e private“, allestita nelle sale di Palazzo Marliani Cicogna che da martedì (9 febbraio) riapre al pubblico.

Del celebre artista bustocco si possono ammirare, oltre alle opere di proprietà delle civiche raccolte raffiguranti scene tratte dalla mitologia sacra e profana, anche una serie di schizzi, dipinti e documenti d’epoca, inediti bossiani provenienti da collezioni private e oggetti mai esposti prima d’ora come la lettera scritta a Bossi da Antonio Canova.
La mostra rappresenta il contributo bustocco all’evento diffuso “Raffaello. Custodi del mito in Lombardia”, organizzato in occasione del cinquecentenario dalla morte del maestro urbinate, strettamente legata all’esposizione allestita al Castello Sforzesco di Milano e a quella organizzata a Brescia, al Museo di Santa Giulia.

L’esposizione di palazzo Cicogna intende puntare i riflettori sui momenti biografici di Bossi che più risentono dell’influenza del maestro urbinate, in particolare soffermandosi sulla formazione artistica iniziale a Roma (dove conobbe Antonio Canova) e sulla rielaborazione matura di alcuni temi figurativi tratti dall’opera del “Divin pittore“.

La mostra, in calendario sino al 2 maggio, è aperta al pubblico nei giorni di martedì, mercoledì e giovedì 14.30-18.00; venerdì 9.30- 13 /14.30 – 19.30.

E.Farioli

Giuseppe Bossi
Nato a Busto Arsizio nel 1777, ha sempre attirato l’attenzione degli studiosi e dei collezionisti bustocchi, che fin da inizio Novecento hanno riconosciuto il pregio delle sue opere grafiche e pittoriche, salvandole dall’oblio e dalla dispersione. Di famiglia agiata si formò in scuole d’eccellenza come il collegio San Bartolomeo dei padri Somaschi di Merate e il Collegio Reale di Monza.

Frequentò l’Accademia di Brera (allievo di Andrea Appiani) per poco meno di un biennio e sul finire del 1795 decise di completare a Roma la sua formazione a diretto contatto con i capolavori d’arte antica. Tornato a Milano nel 1801, diventò segretario dell’Accademia di Brera fino al 1807 dove con le sue riforme segnò profondamente la vita dell’istituzione. Negli anni anni successivi, ritiratosi a vita privata ma con incombenze di rilievo pubblico, produsse una copia pittorica del Cenacolo di Leonardo e un volume molto apprezzato. Tentò di avviare una Scuola speciale di pittura, che ebbe vita effimera, ma soprattutto accumulò una superlativa collezione d’arte (si ricorda almeno il Cristo morto di Mantegna) e una biblioteca ricchissima, entrambe disperse dopo la morte avvenuta nel 1815.