Rincontriamo in questa occasione il poliedrico artista varesino, già conosciuto come raffinato pittore, nelle vesti di musicista altrettanto raffinato e inaspettatamente attento al sostrato culturale del nostro paese. La musica diventa così per lui un tentativo di sintesi di un paese in viaggio verso il cambiamento, ma più ancora la necessità di conoscere e capire le radici di questo cambiamento. 

Oggi con Fabio, parleremo specificamente della difficile arte del cantautorato, in un periodo in cui questa figura vede una marginalizzazione della sua funzione.
Fabio, come descriveresti il processo creativo nel tuo "fare musica", ma in generale nel tuo rapporto con l'arte ? "Più che "creazione" in senso stretto, parlerei più propriamente di un afflato collettivo, qualcosa che determina un passaggio di testimone. 

In pittura Leonardo da Vinci ha preso dal Verrocchio e ha fatto suoi alcuni aspetti da chi lo aveva preceduto. Lucian Freud che per me è un modello così come lo è Francis Bacon, ha avuto a sua volta dei modelli. I miei riferimenti sono tanti e io attingo da loro nella speranza di riuscire ad integrare qualcosa di mio, ma senza dimenticare la strada che mi ha condotto fino a qui. 

Questo è fondamentale. L'arte, che sia musica, pittura o altro, quando evita questo rapporto vivifico, è come un albero privo di radici. Ribadisco quindi l'importanza del comunicare col passato con coloro che sono venuti prima di noi. Anche se si vuole fare "rottura" col passato bisogna saperci dialogare."
"Ad esempio penso a De Andrè, meraviglioso cantautore; ai suoi esordi ha attinto giustamente da quelli che considerava punti di riferimento come Bob Dylan, Leonard Cohen e in primis Georges Brassens. Molte sono le traduzioni che ha realizzato, da "Il Gorilla", "Le Passanti", tutte canzoni che vengono da lì, o per fare un altro esempio dall'Antologia di Spoon River, che a sua volta è stata presa tuttavia dall'Antologia Palatina. Ciò che diceva Mark Harris, arrangiatore dell'ultimo live di De Andrè e suo amico storico, che ho avuto la fortuna di conoscere, è che Faber era un bravissimo regista, il "kubrick" della canzone d'autore. La "necessità" di collaborare con altri era una scelta connaturata alla sua capacità di fungere da collettore di idee musicali e testuali, era quello il suo modo di lavorare con la musica. Essere immersi in un ambiente come in un liquido amniotico è qualcosa che ci permette di imparare molto di un luogo o di una cultura, semplicemente "respirandolo".
"Mi piace che la musica, così come la filosofia e la letteratura abbiano una radice comune, qualcosa che bisogna in qualche modo riprendere per poter andare avanti. Un po' come quando si riprende il filo di un discorso."

Come nasce "La Ballata del Dopocena" ? "La "Ballata del dopocena" è stato il mio primo, timido (in parte goffo) tentativo di costruire un album e in particolare accostando una serie di brani intorno ad un'idea di fondo che li collegasse sulla stregua dei cosiddetti "concept album".
"All'epoca rileggevo con avidità quello che considero uno dei più grandi pensatori e poeti del 900, ovvero Pier Paolo Pasolini.

La sua nitida e profetica analisi sociale, umana e politica nei confronti di un'Italia che a partire dal secondo dopoguerra si trasformava velocemente perdendo la sua identità contadina e rurale per diventare un paese consumista, mi aveva particolarmente colpito. Le mie idee filo-anarchiche mi hanno sempre portato ad avere una certa avversione per ogni tipo di autoritarismo, e ho cominciato a considerare la cancellazione di un intera cultura legata alla terra come una sorta di genocidio senza spargimento di sangue. 

Presa coscienza che come diceva Pasolini, "il potere è un sistema educativo che divide in soggiogatori e soggiogati, un sistema in cui entrambe le parti aspirano ad un unico modello", sentii l'urgenza di affrontare questo cambiamento epocale dando voce a uomini e donne, alcuni conosciuti in prima persona, altri provenienti o collocati in altri ambiti storici ma collegati i n qualche modo all'attualità. E' chiaramente un discorso lungo e ricco di sfaccettature che sarebbe impossibile e riduttivo affrontare in due righe, ma "Ballata del dopocena", con tutti i suoi pregi e difetti, vuole essere un tentativo di capire il circostante e la modernità (modernità liquida direbbe Zygmunt Bauman) attraverso uno sguardo che si muove dal passato al presente.

Per me è stata un'esperienza fondamentale e formativa, perché consideravo la realizzazione dell'album come un esame, un mettermi alla prova in maniera seria su un tema che mi è sempre stato molto a cuore. I richiami, più o meno voluti o coscienti, sono da ricercarsi nell'ampio bacino della musica popolare, da Matteo Salvatore alle registrazioni sul campo di Lomax, fino alla musica colta di De Andrè, Guccini, Fossati, Conte ecc …""Strumenti come la ghironda e il liuto barocco, l'ocarina e la zampogna abruzzese o il mandolino, accanto alle chitarre classiche, bassi e contrabbassi fino ai flauti di legno e i clarini, hanno conferito una voce precisa ad ogni brano.

Quest' avventura mi ha portato insieme ai musicisti che mi accompagnavano, direttamente al Musicultura festival, ormai nel lontano 2007. Portare i brani dal vivo fu una grande emozione e un esame impegnativo. Da allora ad oggi sono passato attraverso diverse collaborazioni e ho continuato a portare avanti la mia ricerca personale, raccogliendo storie e canzoni che vorrei riunire in un album intitolandolo "Il rogo". Se è vero che un pittore dipinge sempre lo stesso quadro, probabilmente anche un cantautore scrive sempre la stessa canzone, così i nuovi brani saranno l'ennesimo tentativo di scavare nella condizione umana.

La musica, come la pittura e la scrittura non è altro che un mezzo attraverso il quale cercare di capire me stesso e quindi il mondo che mi circonda. Sono linguaggi diversi e ognuno continua e completa l'altro, svelando nuove strade e soluzioni, arricchendo e suggerendo diverse prospettive. Attualmente, accanto la mio progetto personale, sto lavorando come autore con un contratto Sony, avventura che mi permette di sperimentare attraverso diversi linguaggi musicali."

A fronte di ciò che ci siamo detti, quale ruolo può avere oggi la figura del cantautore ? "Oggi mi pare ci sia sempre meno spazio per la musica d'autore e per ogni cosa che necessita un ascolto attento. L'elemento temporale è stato schiacciato, compresso fino alla sensazione della sua scomparsa, perché tutto sia immediatamente fruibile, consumabile. E così lo stesso consumatore si consuma in un isterica fuga dalla paura, colmando con il vuoto lo stesso horror vacui di cui è preda. 

Un meccanismo incapace di raggiungere un equilibrio e saziarsi, quindi condannato ad un perenne, frustrante languore. Il pensiero è una pratica caduta in disuso perché costringe le persone a guardarsi dentro, a mettersi in discussione; e così le forme espressive che necessitano di attenzione, senso critico, e messa in discussione di valori e principi non vengono valorizzate e promosse. La gente preferisce l'intrattenimento perché è per definizione disimpegnato e non conoscere significa non doversi preoccupare, "se non ti fai domandi non dovrai logorarti per cercare risposte"." 

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