Milano – Diciannove opere di Antonello da Messina al Palazzo Reale, lo stesso numero di quelle, sempre del maestro siciliano, sistemate da Carlo Scarpa fra stoffe di color chiaro nel Palazzo Comunale di Messina in occasione della mostra che nel 1953 riaccese l’interesse verso questo arcano, straordinario maestro. Certo diciannove opere non sono tutte e, forse, nemmeno tante, eppure con il loro incanto bastano a far intendere la grandezza di questo artista capace di fondere in maniera esemplare e assoluta la purezza astratta dei pittori italiani a lui contemporanei e la resa del dettaglio dei maestri fiamminghi portata fino all’estremo.

S’era formato bene Antonello (Messina 1430-1479), a bottega da Colantonio, nella Napoli di Alfonso d’Aragona, tutta presa da un gran fervore di cultura, ovviamente, e massimamente, anche artistica, con l’arrivo incessante di pittori e di opere dalla Catalogna, dalla Provenza, dalla Borgogna e dalle Fiandre. Quest’ultima una terra dove tante erano le novità, non solo formali ma anche tecniche, da conoscere e approfondire al punto che Antonello vi sì recò, almeno a leggere il Vasari: “fece molti quadri ad olio, secondo che in Fiandra aveva imparato…”. E, se non vi andò, certamente trovò nelle opere di Jan Van Eyck e di altri artisti di quella terra stimoli proficui per dar nuova aria e vita alla pittura non solo della sua terra, dove ancora i fondi oro erano i prediletti, ma anche di altre parti d’Italia. Tuttavia l’irrequietezza di Antonello e le sue curiosità non gli fecero disdegnare, anzi!, quanto veniva producendosi anche nei centri del nostro Rinascimento: innegabile l’approfondimento delle proposte formali e prospettiche di Piero della Francesca e poi, più avanti, del lavorio di luce, colore e spazio di Giovanni Bellini, anche lui ritrattista “alla fiamminga”, proprio come Antonello.

Ritratto d’uomo, Torino, Palazzo Madama

Del maestro di Messina alla mostra di Palazzo Reale (a cura di Giovanni Carlo Federico Villa; catalogo di Skira) la parte del leone la fanno appunto i ritratti (ill. 1), tavolette di piccola dimensione dove, quasi sempre su fondo scuro, si stagliano nella posizione di tre quarti e s’impongono per espressività penetrante personaggi di cui ignoriamo tutto, che però ci coinvolgono con lo sguardo, sollecitando da noi una parola, risposte, discussioni. Insomma son personaggi vivi proprio perché Antonello ha saputo individuarli in tutto: non solo fisicamente, studiando ogni dettaglio del volto e delle vesti, ma anche psicologicamente, rilevando la loro animazione e l’intensità dello sguardo.

 

San Girolamo nello studio, Londra, National Gallery

A Milano tuttavia non ci sono solo ritratti a documentare la genialità di Antonello e se mancano, volendo fare i lamentosi, i frammenti della Pala di San Cassiano dipinta per l’omonima chiesa di Venezia e l’Annunciazione di Palazzolo Acreide, ora a Palazzo Bellomo di Siracusa, ci si può consolare (consolare?) con il San Girolamo nello studio (1475c.; ill. 2) che, vedendolo sui libri, lo si immagina molto grande e invece è una tavola di soli 45×36 centimetri. Ma in essa è dipinto tutto il mondo, quello luminoso e dignitoso dell’Umanesimo più alto tanto che più di un padre della Chiesa par di vedere il ritratto di un erudito del Quattrocento in profonda meditazione sui testi dei classici latini e greci.

Particolare della Crocefissione, Sibiu, Museo Nazionale Brukenthal

Sempre piacevole rivedere anche la giovanile Crocifissione (1465c.) arrivata dalla sperduta Transilvania dove è tuttora conservata, con la veduta a volo d’uccello del golfo di Messina (ill. 3) in cui veleggiano, placidi, navigli e barche, rimpiangendo però la perduta occasione di un confronto con la versione più matura della National Gallery di Londra, inamovibile. Non si può poi non sostare a lungo davanti all’Ecce Homo (1475) ora conservato nel Collegio Alberoni di Piacenza, una delle variazioni sul tema risolta in gran virtuosismo, in una luce carezzevole esaltante ogni minimo particolare (vedere, per credere, anche solo la corda intorno al collo del Cristo). A Milano ci tenevano tanto, e alla fine è arrivata, la tavoletta dipinta a tempera e ad olio con l’Annunciata (1475-1476; ill. 4) conservata a Palazzo Abatellis di Palermo. Vi appare una donna dallo sguardo determinato pur nella dolcezza, pensosamente profondo, rivolto già alla storia che le tocc

Annunziata, Palermo, Galleria Nazionale di Palazzo Abatellis. 

herà di vivere, e colta nei gesti più consueti e semplici delle mani, capaci tuttavia di rendere l’intensità del momento, merito della sapientissima regia di spazi e di luci. Che aggiungere a quello che aveva scritto Marco Boschini, vedendo l’opera in un palazzo veneziano, nel suo “Navegar pitoresco” pubblicato nel 1660: “Diria che d’Antonelo da Meßina/Ghé vna Madona con un libro avanti/Che de sto mondo i studij tuti quanti/No’ i ghà certo vna cosa cusi fina”? Davvero nulla.

 

Giuseppe Pacciarotti

P.S. Dimenticavo: la mostra è accompagnata dai disegni e dagli appunti, provenienti dalla Biblioteca Marciana, di Giovan Battista Cavalcaselle, studioso che già alla metà dell’Ottocento seppe cogliere la grandezza di Antonello da Messina. Lo spazio a nostra disposizione è già però stato tutto occupato scrivendo dell’artista siciliano.  Se ne parlerà in altra occasione.