Il prezioso ciclo di affreschi altomedievali che riveste l'abside della chiesa narra l'Infanzia di Cristo secondo la tradizione dei Vangeli Apocrifi. 

Philippe Daverio in visita al Castrum ci parla dell'eccezionalità di queste pitture che hanno suscitato tra gli storici dell'arte un vivace dibattito su diversi interrogativi.

Il castrum di Castelseprio-Torba, entrato dal 2011 nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, si estende su un'area che conserva significativi esempi di architettura militare, con il Monastero di Torba, i ruderi della basilica di San Giovanni Evangelista e la rinomata Chiesa di S. Maria foris portas – ubicata fuori dalle mura nell'area occupata dal borgo altomedievale sulle cui pareti si conserva uno dei più alti testi pittorici di tutto l'Alto Medioevo. 

Il lustro di questa città/castello è attestato da fonti rinascimentali, ma solo dopo che Gian Piero Bognetti, nel maggio 1944, riscoprì la chiesetta immersa nei boschi e i suoi affreschi, divenne oggetto di studi scientifici programmati.

Non poteva mancare quindi la tappa a Castelseprio per l'assessore Cristina Cappellini, impegnata nel "Lombardia Unesco Tour", progetto istituzionale organizzato da Regione Lombardia, nato con l'obiettivo di valorizzare i nove siti Unesco presenti nella regione e il ‘Saper fare liutario' di Cremona, riconosciuto Patrimonio immateriale dell'umanità. 

Ad accompagnarla in questa visita un testimonial d'eccezione, Philippe Daverio, che non ha mancato di regalare ai presenti una lezione sull'importanza del sito.  
 

Il dibattito sugli affreschi. 

L'eccezionalità di queste pitture ha suscitato tra gli storici dell'arte un vivace dibattito che investe diversi interrogativi. 

Anzitutto la tradizione pittorica dell'artista, per taluni mediorientale, bizantina o siriaco-palestinese, per altri derivata dalle esperienze artistiche maturate a Roma. 

Il secondo nodo da sciogliere ruota attorno alla dibattuta datazione, che oscilla per alcuni tra VI-VII, per il naturalismo e il tocco spigliato, altri al VII secolo per la forza drammatica associato ad un gusto narrativo estraneo alla sensibilità anticha, taluni al pineo VIII secolo, collegandoli all'arrivo nella penisola di maestri bizantini scampati all'iconoclastia che agitava l'impero d'oriente. 

Un'ultima ipotesi muove dall'idea di un revival del tardo gusto ellenizzante, inquadrabile al IX secolo, supportata oltretutto dai risultati archeometrici. Un problema annoso quindi, che al momento pare non trovare una soluzione condivisa.