Pinocchio, sospeso tra bios e thanatos

La storia del burattino al Piccolo di Milano. Uno spettacolo duro, forte, inquietante e allo stesso tempo aderente al libro di Collod. La recensione di Claudia Donadoni.

Ieri sera sono finalmente riuscita a vedere al Piccolo Teatro il Pinocchio firmato da Antonio Latella. Avevo molte aspettative. Del resto, come non averne? Si tratta di una delle fabule per eccellenza, di un archetipo mitologico ancestrale…insomma per una teatrante come me una manna. E per chi decide di rappresentarlo, una bella sfida.

Scrivo ma serve un tempo di sedimentazione perchè questo Pinocchio è faticoso. Dura un tempo biblico (2 ore e 50 con un intervallo di 15 minuti) e l’impatto è brutale. E’ uno spettacolo per tre quarti “urlato” e questo mette da subito lo spettatore in una condizione fastidiosa.

Il teatro, per me, oggi deve colpire. E questo Pinocchio, sospeso tra il tema della fame e della follia, nei modi espressivi nei toni e nei volumi sempre sopra le righe fa a botte. Con la coscienza, con la resistenza, con il senso del limite.

Il testo, non fa un’operazione di tipo alessandrina, ma mixa antico collodiano e contemporaneo senza caduta dell’ora, con incursioni che penalizzano la fluidità della drammaturgia, e scivola in alcuni punti, nel ridondante, suprefluo.

La regia invece è, in alcuni passaggi, strepitosa. Con una cura del dettaglio quasi maniacale. E delle trovate stupefacenti. Dai trucioli che diventano neve e poi mare e poi cibo e poi riparo del freddo, alle scene sospese oniriche della Fata Turchina, dei Medici del Teatrino o Commedia dell’ Arte di Mangiafuoco, del Paese dei Balocchi. Di un Pinocchio che è anche Lucignolo perché nell’uomo bene e male coesistono e tanto altro ancora. Momenti che hanno il pregio di staccarci da quell’immagine del Pinocchio di Comencini da cui Latella si smarca con grande abilità mettendo la sua sensibilità a servizio di una capacità visionaria notevole.

Gli attori, tutti bravissimi, sono diretti con grande maestria con un’adesione al lavoro e un dono di sè totali. Scenografia e luci azzeccatissime a servizio di un lavoro di grande drammaticità che spazia nell’attualità del dolore, del rapporto genitori e figli, della crisi dei teatranti, di questo mondo folle, affamato, bulimico e allo stesso tempo dilaniato dall’anoressia di sentimenti, di valori, di spiritualità,di verità e di sana menzogna.

Tanti i temi, forse troppi in un lavoro tutti insieme. In una società dove si è bersagliati dalla ridondanza, questo Pinocchio non è uno spettacolo sobrio, per bambnini, e sognante di antica memoria. Ma è proprio questo il senso. Se il teatro vuole e deve raccontare la realtà Antonio Latella con il suo Pinocchio ci regala una visione molto pertinente. Uno spettacolo sul senso della vita e della morte non solo del corpo ma delle coscienze e questo deve farci riflettere.

 

Claudia Donadoni