Bologna è il capoluogo italiano che da sempre rappresenta la massima apertura mentale possibile, considerato che si trova nella piatta provincia padana. Tra le altre singolarità disseminate tra le sue strade acciottolate, questa città ci regala persino una rarissima e controversa immagine del Profeta Maometto. Siamo all’interno della Cappella dei Re Magi, nella centralissima Basilica di San Petronio. Le pareti furono affrescate da Giovanni da Modena con un ciclo raffigurante episodi della vita di San Petronio. Nella parete destra, Storie dei Re Magi. In quella sinistra, in alto, un Giudizio Universale con l’Incoronazione della Vergine in mandorla nel Paradiso e in basso l’Inferno: una raffigurazione di impronta squisitamente dantesca, con una gigantesca figura di Lucifero che s’impadronisce della scena. Ma ecco in alto, sulla destra, tra gli altri condannati all’oltretomba, una rappresentazione iconografica di Maometto.

L’immagine dell’Ultimo Profeta dell’Islam è ben identificabile, anche grazie ad un cartiglio, che lo suggella mentre viene seviziato e percosso da demoni feroci, naturalmente avvolto dalle consuete fiamme infernali. Seminudo, sofferente, disprezzato. Forse all’epoca era una specie di vignetta satirica, chissà. Comunque, appare un affresco “politicamente” scorretto.

In realtà se si analizza a fondo l’opera, in questo dipinto non c’è niente di offensivo o irriverente, Sostiene Oreste Leonardi, primicerio della Basilica. La collocazione di  Maometto nell’inferno è soltanto l’indicazione del fatto che egli avrebbe infranto l’unità della Chiesa, giacché nel Medioevo, in Occidente, si pensava all’Islam come ad uno scisma cristiano. Una rappresentazione senza dubbio scomoda ma che, come sempre, va contestualizzata nell’epoca e soprattutto nel frangente del poema dantesco della Divina Commedia, da cui l’affresco trae evidente ispirazione, che è la tragica rappresentazione di una umanità destinata a perdersi, se non sarà in grado di recuperare il senso vero della propria vita.

Il nostro Sommo Poeta si è permesso di mettere ognuno al suo posto: politici, vescovi, imperatori e semplici uomini. Ad ogni figura la giusta punizione perché il peccato è di tutti. Tra i trasgressori della lex divina qui rappresentati, i lussuriosi sono infilzati allo spiedo, gli invidiosi bersagliati da frecce e gli avari costretti ad ingoiare, con la testa riversa, una colata di oro fuso. In un tempo storico dove la parola scritta era ancora di pochi, il dipinto funge da monito, da insegnamento per divulgare una “morale” allora ritenuta in Europa, molto presuntuosamente, l’unica possibile. Nessuno dovrebbe quindi prendersela con una raffigurazione tratta da un poema allegorico, scritto quasi 800 anni fa, che fotografava una visione parziale, assolutamente personale, imprescindibilmente legata a quei tempi “non ancora maturi”, dal punto di vista della comprensione delle diversità.

Anche il filosofo Averroè, ad esempio, oggi universalmente riconosciuto tra i massimi sapienti del Medioevo, viene messo da Dante nel limbo solo perché “non cristiano”. In Vaticano, questo affresco, lo conoscono bene: da più di dieci anni è considerato uno dei target cattolici più a rischio di attentati da parte degli estremisti islamici, visto che si tratta di una delle poche effigi di Maometto ritratto, tra l’altro, in modo particolarmente grottesco e caricaturale.

Proprio per questo davanti alla celebre chiesa di Piazza Maggiore troviamo uno spiegamento di forze dell’ordine piuttosto rilevante. Ci fermano, ci squadrano, ci perquisiscono, ci spiegano che in passato questo luogo è stato al centro di piani terroristici. Poi ci lasciano continuare la visita, ma ci accorgiamo subito che il nome di Maometto non compare in alcuna descrizione, guida o foglietto informativo sulla Chiesa. Cancellato dappertutto_

Come per timore della nostra stessa visione della storia.

 

Grazie a Gianni per la corroborante visita della città.

Ivo Stelluti