Stefano Medaglia è un artista onesto. E cita accuratamente le possibili analogie iconografiche con il lavoro che ha portato a termine per la chiesa di Santa Caterina da Alessandria a Venegono.

E tra questa inevitabilmente c'è anche la Lampada ad arco di Giacomo Balla. Giovane di amplissime suggestioni culturali, di profonde letture, ha guardato anche a Duchamp, a Zoltan Kemeny, a Kengiro Azuma…

Il risultato al netto della concitazione del dinamismo del futurista è una stupefacente soavità che quasi depotenzia la sostanza stessa della materia martiriologica della santa.

La scelta, precisa Stefano, è in effetti, questa: coerente con la smaterializzazione della mimesis del linguaggio artistico che consente la possibilità di cogliere altri aspetti del linguaggio visivo.

Quanto al resto i nessi logici della vicenda umana della giovane egiziana di stirpe regale sono, dall'artista, rispettati. Così ha voluto Don Bruno Marinella, parroco della più antica chiesa di Venegono, edificata intorno alla prima metà del 400; a questo Medaglia si è attenuto.

Lievissime epifanie dove sono incastonate, appena abbozzate appunto, le vicende, appena umane ma già eteree, della donna, quasi già spirito, così il Monte Sinai, così la ruota del supplizio, così la decapitazione, così quello straordinario segno che già fu di Balla ma qui stemperato assolutamente di colore, di narcisismo, di dinamismo per trasformarsi solo in pura e necessaria elevazione.